Musei e attivismo

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REUTERS/Leonhard Foeger

In che misura le istituzioni museali e culturali devono farsi carico dei problemi sociali e politici della loro comunità? E quali sono le modalità con cui gli spazi fisici e digitali dei musei possono ospitare ed interpretare le istanze sociali del proprio tempo in modo efficace e non retorico?  Abbiamo provato a rispondere a queste domande per fornire proposte concrete ed esempi reali che fungano da guida in un ambito così complesso e delicato da affrontare.

Stando al Secondo la nuova definizione ICOM, i musei sono istituzioni “al servizio della società […]  che promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità“. Di conseguenza, per poter rispettare a pieno questa complessa ed ambiziosa missione, i musei dovrebbero pensarsi ed operare non solo come luoghi di conservazione e valorizzazione storica, scientifica e artistica ma anche come spazi di rappresentazione della società in tutta la sua varietà. 

È importante che un museo possa rappresentare un punto di riferimento per la propria comunità poiché è grazie ad essa che l’istituzione stessa trova la propria ragione di esistere. Dunque, se l’esposizione di arte, storia e scienza non deve essere fine a se stessa ma può invece veicolare un messaggio, allora ci sono tematiche che non possono più essere ignorate. 

Gli esempi che seguono sono stati presi in esame perché, da un lato dimostrano come ciascuna organizzazione abbia preso a cuore una diversa causa in base alla propria natura o storia, dall’altro sono utili a capire come dimostrare il proprio supporto rispetto a un problema. Talvolta sono sufficienti i simboli, le bandiere, gli slogan. In altri casi, un maggiore sostegno proviene da attività e progetti che coinvolgono attivamente il pubblico fruitore.

Il Pergamon Museum

Il Pergamon Museum di Berlino è composto da tre sezioni: il Museo di arte antica, il Museo del Vicino Oriente e il Museo di arte islamica. Nelle sale delle ultime due sono presenti reperti e opere d’arte di paesi come Iran e Siria e attualmente la direzione del museo ha pensato di introdurre anche diversi stendardi e poster a favore della libertà delle donne. La presenza di questi veri e propri manifesti in questi specifici luoghi espositivi vuole essere un modo per dare voce alla lotta contro le repressioni che avvengono nel medio oriente, con un particolare riferimento agli ultimi accadimenti in cui le donne sono state vittime del regime iraniano. Le scritte “Women, Life, Freedom!” sono riportate sia in inglese che in arabo e rappresentano il grido di denuncia che anima le proteste per chiedere diritti e libertà a seguito della morte di Mahsa Amini, per mano dello Stato iraniano. Si tratta quindi di una presa di posizione piuttosto silenziosa ma la presenza di numerosi simboli di ribellione è di per sé un atto importante e molto forte.

Il Museo di Pergamo non si limita all’esposizione di stendardi ma già da tempo sembra essere consapevole del ruolo che ricopre. Ospitando in una capitale europea un gran numero di reperti appartenenti alla cultura islamica e mediorientale, è importante che esso rappresenti anche un luogo di incontro tra oriente e occidente e che affronti tematiche quali l’immigrazione, la diversità e l’inclusione. Il museo di arte islamica infatti propone progetti come “Prevenzione dell’estremismo e sviluppo dell’accesso educativo ai musei per le figure di riferimento nelle comunità musulmane” ovvero un progetto di cooperazione con l’Istituto di teologia islamica dell’Università di Osnabrück che ha come obiettivi l’educazione interculturale e l’inclusione; oppure “Diversità come racconto, diversità come realtà” che vuole raccontare la complessità della società berlinese, con tutte le sue sfumature culturali.

Inoltre, il museo berlinese si prende cura anche del pubblico più giovane, provando a rispondere a domande su grandi temi, alcuni dei quali etici: in alcune didascalie i curatori si chiedono se sia giusto esportare i reperti antichi dai loro siti originari per esporli in museo europeo. Questo tipo di quesiti permette a chi sta apprendendo di vedere la storia da un altro punto di vista, meno eurocentrico, ma è anche un occasione per mostrare l’autoconsapevolezza dell’istituzione stessa. Sempre rivolgendosi ai giovani, nella didascalia di un’opera di epoca babilonese i curatori hanno evidenziato come l’abbigliamento della popolazione non fosse indice di genere e appartenenza etnica e che gli studi hanno confermato che indumenti di fattura e forma simile potevano essere utilizzati da diverse tipologie di persone. Questo tipo di tematiche sono estremamente attuali e consentono ai ragazzi, e non solo, di avere un occhio più critico e di osservare con più consapevolezza passato e presente.

Rijksmuseum via Instagram

Il Rijksmuseum

Il museo olandese si schiera, ormai da anni, al fianco della comunità LGBTQIA+. Il modo in cui il Rijksmuseum ha deciso di dare il suo supporto è sia simbolico che concreto e attivo. Infatti, non solo viene esposta la bandiera arcobaleno sulla facciata dell’edificio in occasione della settimana del Pride di Amsterdam, ma sono previste delle attività per creare consapevolezza e accogliere tutti senza discriminazioni. Ad esempio, a luglio 2019 la Pride Walk è stata ospitata negli spazi esterni del museo e nell’estate del 2021 sono stati creati dei tour inerenti alla libertà di amare. Il personale è stato anche dotato di abbigliamento con i simboli arcobaleno e l’insieme di queste azioni secondo il direttore Erik van Ginkel “contribuisce a garantire che tu ti senta accettato e rappresentato nel museo”.

L’istituzione in questo caso si rende fisicamente disponibile per supportare una causa, utilizzando la propria facciata principale come una sorta di bacheca, un foglio bianco per raccontare qualcosa. Ma la bandiera sull’edificio del Rijks non è una pratica dedicata unicamente alla causa della comunità LGBTQIA+. All’inizio del 2022 infatti il museo ha deciso di posizionare sulla sua facciata principale due bandiere dell’Ucraina per manifestare il proprio sostegno a seguito dell’invasione russa. In questo caso si tratta di un’azione unica ma che in ogni caso schiera il museo in modo netto contro i disastri causati dalla guerra.

Questo museo dimostra come si possa anche solo esporre i simboli di una causa per dichiarare i propri intenti e i propri valori. D’altra parte è anche auspicabile promuovere e organizzare attività finalizzate alla diminuzione delle discriminazioni e a favore dei diritti civili, per dare più spessore alle proprie azioni.

Un ultimo aspetto che può sembrare marginale ma che invece può insegnarci ancora qualcosa è il fatto che i post Instagram con le foto con la bandiera LGBTQIA+ hanno ricevuto alcuni commenti negativi (che non sono stati cancellati). Quasi sempre schierarsi significa anche non raccogliere il consenso di tutti e questo è un presupposto che bisogna tenere a mente quando si decide di abbracciare una causa.

La protesta degli attivisti di Letzte Generation al Leopold Museum (da ARTnews)

Il Leopold Museum

Negli ultimi mesi sono state frequenti le azioni dei giovani attivisti che, imbrattando opere d’arte, hanno voluto spostare l’attenzione sull’urgenza della crisi climatica. Questi episodi sono stati criticati e considerati atti di vandalismo e il governo italiano, ad esempio, ha recentemente approvato un ddl in cui si stabiliscono pene molto severe per i fautori di queste azioni. 

Il Leopold Museum di Vienna, anch’esso luogo di uno di questi eventi, ha deciso di rispondere in un altro modo. Condividendo la preoccupazione per la gravità del cambiamento climatico, il museo ha proposto l’iniziativa «A Few Degrees More» con cui si vuole dimostrare quanto l’innalzamento delle temperature renderà inabitabile il Pianeta per l’umanità. Alcuni capolavori di Schiele, Klimt e Courbet e altri artisti sono stati appositamente inclinati per dimostrare metaforicamente quanto pochi gradi possano fare la differenza. In questo modo il museo non ha voluto contrastare il messaggio degli attivisti ma anzi, in un modo un po’ diverso, ha voluto modificare anch’esso le opere d’arte per dare ancora più risalto alla protesta.

È evidente la volontà di rendere il museo come un luogo di consapevolezza e di conoscenza. Non un mero contenitore di oggetti ma un posto in cui opere d’arte, reperti e materiali esposti del passato fungano da cassa di risonanza per dei problemi che vanno urgentemente affrontati per il nostro futuro. In più, l’istituzione non ha voluto creare una spaccatura con gli attivisti ma si è posto come mediatore, al servizio della società e dei suoi problemi.

“A few degrees more” (da Finestre sull’Arte)

Dunque, che prospettive ci offrono gli esempi che abbiamo analizzato?

È nella natura del Museo sostenere cause e difendere diritti ma è altresì fondamentale che le sue azioni di attivismo risultino in linea con i propri valori per essere più efficace e credibile e per non creare episodi di greenwashing e simili.

L’utilizzo dei simboli è importante perché manifestano la vicinanza a determinati temi in modo immediato ma è meglio che si verifichi anche un sostegno proattivo, ovvero lo sviluppo di progetti e attività che facciano davvero la differenza.

Aggiungiamo infine che il modo migliore per prendere parte al cambiamento, anche come istituzioni culturali, non è caratterizzato solo dalla pars destruens. Sono necessarie proposte costruttive, che permettano alla comunità di riferimento di essere guidata e di sentirsi davvero rappresentata.

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