Partire dalle basi per una strategia di crescita e fundraising efficace

Mission, vision, obiettivi: la crescita sostenibile di un’organizzazione ruota intorno ad un approccio integrale allo stakeholder engagement. Vediamo come.
Questo è il primo intervento di una serie scritta da Irene Popoli che, all’interno della rubrica FATTORE C, approfondirà i presupposti operativi sui quali costruire una strategica di stakeholder engagement e di fundraising integrato efficace e duratura.
A più di qualcunə sarà capitato di dover passare sotto le fosse caudine di un elevator pitch: un minuto di tempo per esprimere in modo sintetico ma completo, convincente ma non esaltato, concreto ma aspirazionale la propria idea, proposta, iniziativa.
Si tratta di una tecnica molto anglosassone, in cui si presume che il livello di attenzione ed il numero di opportunità che vengono date siano inversamente proporzionali alla competizione che si deve sostenere: un approccio un po’ da cowboy, pistola alla tempia, per mettere sotto pressione chi racconta cercando di verificare se abbia davvero a fuoco al 100% la propria idea, piazzando fin da subito un filtro performativo in grado di scremare nella forma, prima che nella sostanza, la qualità di chi ha avuto l’idea (più che l’idea stessa).
Quantə di noi sarebbero effettivamente capaci di raggiungere quel livello di chiarezza e sintesi riguardo ad un qualsiasi fatto della propria vita – anche il più piccolo? Men che meno, immagino, nel caso di un racconto complesso, di un’idea emergente, di un pensiero non ancora formato.
Eppure, questa piccola tortura retorica può rappresentare, se ben accolta, un’opportunità per osservare dall’interno, individuando priorità, ordini di rilevanza, elementi più o meno imprescindibili e mettendo ordine tra quello che deve arrivare subito, in modo chiaro ed incontrovertibile a chi ascolta.
Questa pratica, comune soprattutto nei pitch in cui si presentano idee di start up (quindi in un’area per sua natura innovativa, dove il livello di successo è infinitesimale), può presentare un’opportunità, se declinata opportunamente, anche per le organizzazioni che già esistono – spesso da molto, molto tempo – e che, nel contempo, hanno sempre più bisogno di riaffermare il proprio profilo istituzionale, per renderlo chiaro e condiviso all’interno ed all’esterno.

Mission e Vision: quello che le organizzazioni culturali non dicono – e perché dovrebbero iniziare.
La pratica definitoria di individuare la propria mission e vision non è un atto retorico, un esercizio di stile, un’occasione per avere un bel motto da incorniciare ed andare poi avanti con la propria routine operativa. Al contrario, la necessità, imposta da questo processo, di essere in grado di sintetizzare, ridurre all’essenziale gli aspetti prioritari che definiscono le ragioni e le fondamenta costitutive della propria organizzazione è tanto difficile quanto strategicamente cruciale.
Vediamo perché.
FUNZIONI INTERNE
1. Coinvolge l’intera organizzazione
La definizione di mission e vision può essere uno strumento interno di condivisione e partecipazione del team e di tutti gli operatori che contribuiscono alle attività. Questo ha una doppia utilità: da una parte permette di verificare l’effettiva percezione ed aspettative verso l’organizzazione, la sua natura ed i suoi scopi (“Cos’è per voi? Cosa dovrebbe/potrebbe essere?”), dall’altra attiva un processo di convergenza ed allineamento delle diverse istanze espresse verso una visione condivisa, innescando o riaffermando il senso di appartenenza e costruendo una cultura aziendale forte e chiara.
2. È il punto di partenza e di arrivo della propria strategia
In organizzazioni che spesso presentano una struttura articolata ed aree di attività molteplici ed eterogenee, avere chiaramente identificato la missione e la visione dell’organizzazione permette di avere uno strumento di verifica finale dell’adeguatezza degli obiettivi fissati per ogni area (e delle eventuali risorse assegnate). In questo modo, è infatti, sempre possibile fare un “check-up” della salute degli obiettivi di area/dipartimento/ufficio/ruolo risalendo alla loro incisività nel perseguire la visione organizzativa. Perché tutte le stradetegie portano alla vision!
FUNZIONI ESTERNE
3. Fornisce i fondamenti base per coinvolgere gli stakeholders
(verso la platea dei possibili sostenitori istituzionali pubblici e privati, in una prospettiva di fundraising)
In un contesto sempre più competitivo in cui la necessità di posizionarsi in modo distintivo è oggi più che mai vitale, avere un’identità istituzionale forte parte dall’essere in grado di rispondere alle domande “cosa fai e perché?”). Nel processo di coinvolgimento dei potenziali stakeholders sostenitori/finanziatori/donatori, infatti, l’efficacia e la sintesi dell’esprimere il ruolo sociale/istituzionale/culturale che si è scelti di assumere, le ragioni di questa scelta e le modalità che si sono identificate per perseguirla è il presupposto per poter costruire il sistema di valori condivisi che costituisce le basi ogni partnership.
4. È uno strumento di comunicazione strategica per far conoscere l’organizzazione
(rispetto al proprio mercato di riferimento finale di fruitori dei servizi)
Mission e soprattutto vision, con la sua componente aspirazionale, possono costituire dei messaggi efficaci sui quali costruire alcuni strumenti comunicativi. Fornendo le parole chiave dell’organizzazione, infatti, può aiutare il coordinamento tra gli obiettivi strategici istituzionali e le indicazioni e direttive per l’area comunicazione, arrivando a definirne e rafforzarne il brand con cui questa si presenta e coinvolge i propri segmenti target di mercato.
WARNING! Mission e Vision sono due concetti ben distinti, ma spesso confusi, sovrapposti o di fatto fraintesi. Di seguito vedremo degli esempi per capire come le organizzazioni di tutti i tipi (non solo quelle culturali) siano riuscite a centrare (o meno) queste due definizioni!
Qualche esempio (efficace e no…)
Uno degli esempi a mio avviso più puntuali e precisi di cosa significa costruire una mission ed una vision è quello del Museum of the American Revolution: qui, la differenza, in termini di definizione e di ruolo tra la mission e la vision, risulta molto chiara. Da una parte si chiariscono l’insieme di azioni che sono messe in atto dal museo per contribuire, rispetto alla propria dotazione, alla comunità di riferimento; dall’altra, si inserisce la visione finale, l’ambizione ultima, l’aspirazione in parte astratta, il “sogno” verso il quale si vuole indirizzare l’organizzazione.

Un altro esempio interessante, quantomeno per lo spirito di cercare di chiarire cosa si voglia dire con le definizioni, è quello del Great North Museum di Hancock, in cui si collega l’aspetto operativo della mission “we do this…” con la destinazione finale a cui si ambisce “so that..”.

Un esempio illustre molto meno efficace, invece, è quello del Van Gogh Museum, in cui la vision risulta una dichiarazione di stile, troppo vaga e scollegata con le specifiche caratteristiche dell’organizzazione e della sua collezione – applicabile a qualsiasi istituzione e proprio per questo non in grado di distinguerla, di posizionarla.

È evidente quindi come un’operazione apparentemente di stile possa in realtà avere una funzione strategica e operativa molto importante per molte aree di un’istituzione culturale, coinvolgendo in primis il fundraising e la governance ma arrivando a coinvolgere anche il marketing di prodotto e la comunicazione istituzionale.