Il settore culturale nel 2020: l’analisi e le previsioni della Fondazione Symbola
Il rapporto “Io sono cultura 2021”, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere, giunge alla sua XI edizione, confermandosi ancora come il principale studio a livello nazionale in grado di analizzare il ruolo ed il peso della cultura e della creatività per l’economia italiana.
Il settore produttivo delle Industrie Culturali e Creative (CCIs) viene analizzato attraverso una dimensione core, che comprende settori quali editoria, videogames, performing arts, architettura e design, patrimonio storico e artistico, ed una dimensione creative driven, ossia attività produttive che inglobano contenuti e competenze culturali all’interno dei loro prodotti ed imprese per accrescerne il valore simbolico e strategico.
Il report presenta l’Italia toccata dalla pandemia come un Paese capace di affrontare nuove sfide puntando su qualità e bellezza. Già dal secondo dopoguerra il nostro Paese aveva dimostrato di riuscire a ritagliarsi un posto fra i Paesi più avanzati del mondo, facendo leva, secondo l’economista John Kenneth Galbraith (1983), sulla “capacità tutta italiana di trasmettere cultura e bellezza nelle produzioni”. Questo approccio strategico si può rivelare vincente anche nella nuova società post-digitale, in cui le risorse materiali abbondano portando a scelte di consumo sempre più orientate verso quei prodotti che, per loro natura ed estetica, possono contribuire a formare l’identità sociale di un individuo. Da qui il primato del “Made in Italy”, capace di cogliere le potenzialità di un patrimonio culturale naturalmente presente in patria per creare prodotti in grado di comunicare forti valori identitari.
La cultura italiana dunque rappresenta da sempre un motore di sviluppo per l’economia nazionale, un input strategico che accresce il valore competitivo delle produzioni e un attivatore per l’innovazione di altri settori. I dati parlano chiaro: il sistema produttivo culturale e creativo del 2020 vale 84,6 miliardi di euro che corrispondono al 5,7% del valore aggiunto italiano. Inoltre, il numero di occupati del settore ammonta a un milione e mezzo di persone, ossia il 5,9% dell’occupazione totale. La filiera culturale e creativa possiede una capacità moltiplicativa pari a 1,8 (ossia per un euro prodotto se ne generano 1,8 nel resto dell’economia), ma il dettaglio dei singoli moltiplicatori di “patrimonio storico artistico” e “industrie creative” riporta valori superiori, rispettivamente 2,0 e 2,2.
Se questo scenario sembra rassicurante, lo stop forzato di molte attività culturali di fatto si ripercuote sui numeri relativi alle perdite. Rispetto al -7,2% della media nazionale, la riduzione del valore aggiunto del settore culturale e creativo è del -8,1%; mentre il calo di occupati si assesta sul -3,5%, dato superiore rispetto al -2,1% della media nazionale. I dati registrano anche disparità fra Nord e Sud Italia e fra i diversi settori: Lombardia, Lazio e Piemonte sono le tre regioni che producono più ricchezza, contribuendo a consegnare a Milano il primato di città “di cultura”, seguita nella classifica da Torino, Arezzo, Trieste, Firenze e Bologna. Non stupisce che siano i settori core ad aver subito maggiori perdite, con le performing arts al primo posto – segnando un calo del 26,3% di fatturato, seguita dal -19,0% del settore del patrimonio storico e artistico (determinato primariamente dalle prolungate chiusure e dal lungo periodo di inattività). Un prima ossrervazione generale sui dati porta così inevitabilmente all’emergere di domande che escono dalla prospettiva emergenziale immediata in un’ottica longitudinale. Diverse infatti sono le domande e le problematiche che la crisi causata dal Covid ha prepotentemente fatto sorgere, la più importante delle quali riguarda lo status effettivo del settore culturale e creativo prima della crisi post-pandemica. I problemi di ieri, quindi, sono gli stessi di oggi, ma ingigantiti da ulteriori urgenti criticità? O piuttosto, sono emerse questioni nuove da risolvere?
È indubbio che il peso e la portata di questo settore per l’economia italiana potrebbero essere molto superiori di quanto non lo siano stati fino ad oggi. La filiera produttiva e le imprese stesse soffrono da tempo di fragilità strutturali ed organizzative, a cui si aggiunge il problema annoso e mai risolto delle risorse umane. Oltre alla precarietà diffusa dei lavoratori culturali, il nocciolo della questione risiede nel tipo di competenze che possiedono gli addetti del settore. Siamo ancora sicuri che siano sufficienti e adatti i profili che abbiano coltivato una formazione e un’esperienza lavorativa così settoriale e specializzata? Non è infrequente che si ragioni per compartimenti stagni: lo storico dell’arte, l’economista, l’informatica, l’editore, l’architetta. Forse siamo in mondo in cui la domanda e le aspettative sono cambiate, in cui si parla sempre più di competenze trasversali e di continui aggiornamenti come unica possibilità per far fronte alla enorme complessità della società di oggi.
Sotto altri punti di vista, tuttavia, la pandemia ha portato anche una ventata di energia positiva. I settori dell’editoria e dei videogames, ad esempio, testimoniano di un incremento positivo, trend che effettivamente rispecchia le abitudini degli italiani dell’ultimo anno e che è destinato a consolidarsi ulteriormente. Altra conseguenza positiva indotta dal Covid-19 è stata l’accelerazione nella transizione al digitale per il settore culturale italiano, un tema che ha fatto accendere numerosi dibattiti negli ultimi anni e su cui finalmente, forse, si possono intravedere azioni concrete. Se da una parte, i mezzi digitali sono stati preferiti in quanto gli unici rimasti a disposizione in un periodo di isolamenti e chiusure, dall’altra l’impressione è che la pandemia abbia sottratto qualsiasi alibi nel non-uso di tali strumenti. Il primo passo è stato fatto: una presa di coscienza generalizzata sulle potenzialità offerte dal digitale. Ora l’ambizione è che questo approccio venga progressivamente integrato nelle attività culturali e alimentato grazie alle competenze di risorse umane specializzate.
Dal rapporto emerge come e quanto la cultura sia stata un “salva-gente”, dotato di una forza comunicativa ed attrattiva in grado di innescare buone e nuove pratiche sociali e culturali nonostante le distanze. Fra queste, la più importante, è la contaminazione fra il mondo della cultura e altri settori. Pensiamo al rapporto fra salute e cultura: molti italiani ed italiane, infatti, hanno dichiarato che la loro resilienza è stata debitrice soprattutto nei confronti dei prodotti culturali disponibili durante il lockdown.
Anche l’inclusione è un tema attualissimo e un campo in cui la cultura ha dimostrato di essere un collante forte. Il settore turistico ha virato la propria offerta verso soluzioni di prossimità maggiormente sostenibili, che valorizzano una caratteristica unica dell’Italia: la nostra configurazione territoriale per i piccoli borghi, difficilmente raggiungibili, luoghi senza tempo e ricchi di autenticità.
Dal quadro delineato sembra che nell’ultimo anno la “cultura” sia diventata una moderna Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, grande e forte, capace di accogliere e proteggere non solo gli individui, coloro che la apprezzano, che in essa credono fortemente o la vedono come un riparo, ma anche tutti quegli ambiti che di essa si servono e con la quale si ibridano.
A questo punto non resta che chiedersi quali saranno le prossime sfide per il mondo della cultura che si innescano su queste basi. L’ONU ha dichiarato il 2021 l’anno internazionale dell’economia creativa per lo sviluppo sostenibile. A livello europeo, un segnale importante è stato dato dalla Commissione Europea con il lancio del programma Nuovo Bauhaus nel settembre 2020. Si tratta di un progetto ambizioso per il quale sono state stanziate ingenti risorse e che mira a sfruttare la contaminazione fra architettura, nuove tecnologie, settore culturale, al fine di costruire un futuro fondato su un’economia sostenibile, green e inclusiva.
È chiaro quindi come le prospettive future siano piene di speranze ed ambizioni, ma anche di messa a disposizione di risorse finanziarie consistenti, segno del fatto che l’investimento in cultura è visto ancora come fruttuoso, conveniente, prolifico. Nonostante le difficoltà e le carenze del settore culturale e creativo, il Rapporto Symbola lancia un segnale di fiducia per un futuro votato ad un’innovazione che avverrà sfruttando la cultura. Alla pandemia quindi si può riconoscere almeno il merito di averci regalato del tempo prezioso, che ci ha permesso di elaborare riflessioni sul nostro passato, presente e futuro. I nostri pensieri hanno avuto il tempo di trasformarsi in convinzioni che da oggi, nella speranza delle riaperture, possono diventare azioni concrete per il nostro domani.